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Un episodio famoso

Il tentato eccidio dei Moscheni


Sul piano storico, il palazzo fu teatro, proprio negli anni che segnarono il suo completamento, di un episodio molto famoso, che vale la pena raccontare.


Già dalla metà del 1600 Bergamasco, passato ai Gonzaga, fu dato in feudo al marchese Giovanni Moscheni, nobiluomo di Alessandria, vedovo, con tre figli: Francesco, Vittoria e Gerolamo.


Le cronache dell’epoca ne restituiscono un’immagine negativa: durissimo nell’applicazione delle leggi feudali, spesso faceva condannare a pene molto severe chi contravveniva al suo volere. Ad aggiungere ulteriori vessazioni e motivi di malcontento c’erano poi i suoi “bravi”, che si divertivano a terrorizzare i bergamaschesi.


Nel 1685 il marchese Giovanni condanna a pene detentive alcuni sudditi che, nel tentativo di ottenere grazia, si rivolgono al parroco di Carentino, Ortensio Faà di Bruno. Era questi un uomo ambizioso e piuttosto intrigante, che amava farsi apostrofare col titolo di “abate”.


Era amico dei Moscheni e già in passato era riuscito con la propria intercessione a ottenere la commutazione di alcune pene. Giovanni Moscheni però cominciava a guardarlo con sospetto, irritato dal suo crescente prestigio, e anche per questo stavolta preferisce negare la grazia, e anzi fece in modo che la condanna diventasse esecutiva al più presto. Il fallimento della mediazione, insieme alla consapevolezza del malcontento suscitato in paese dai soprusi del marchese, convince l’Abate che i tempi siano maturi per eliminare il signore uccidendo lui e tutta la famiglia.


Coinvolte alcune famiglie di rilievo del paese, si forma una congiura, che passa all’azione nella notte di Pasqua, il 14 aprile1686: legate insieme due scale, i congiurati si introducono nel Palazzo Marchionale sfruttando una finestra priva di persiane.


L’agguato però non riesce: nel corso dell’attacco vengono uccisi un figlio del marchese (il piccolo Gerolamo, di soli 7 anni), la governante e due servitori, ma Giovanni Moscheni riesce a fuggire gettandosi in strada da una finestrella, tuttora esistente, cavandosela con una caviglia slogata dopo un volo di 6 metri; I congiurati intanto devastano il palazzo rompendo vetri e suppellettili e asportando denaro e numerosi oggetti preziosi.


Il successivo arrivo della forza pubblica, chiamata dal marchese, porta in soli 12 giorni all’individuazione di 45 congiurati, alcuni dei quali si danno alla macchia rifugiandosi nel vicino Bosco delle Sorti.


Tutti gli aderenti alla congiura vengono condannati al bando dal Monferrato e alla confisca dei beni e se per caso fossero caduti nelle mani della giustizia avrebbero dovuto essere denudati, torturati e poi impiccati ed esposti come monito a tutti.


Tutti condannati, nessuno punito: i contumaci infatti per la maggior parte non si faranno più vedere in paese, e alcuni di loro – dietro pagamento di denaro – otterranno la grazia da parte dei Gonzaga. La passa liscia anche l’abate di Carentino, che in virtù della sua posizione di religioso, non viene perseguito. Morirà impunito nel 1709.